Ernest Celestine di Stéphane Aubier, Vincent Patar, Benjamin Renner

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locandina Ernest  Celestine
 
Regista: Stéphane Aubier, Vincent Patar, Benjamin Renner
Titolo originale: Ernest et Célestine
Durata: 79'
Genere: Animazione
Nazione: Francia
Rapporto:

Anno: 2012
Uscita prevista: 20 Dicembre 2012 (cinema)

Attori:
Soggetto: Gabrielle Vincent
Sceneggiatura: Daniel Pennac

Trama, Giudizi ed Opinioni per Ernest Celestine (clic qui)...In questa pagina non c'è nemmeno la trama per non fare spoiler in nessun caso.
 
Fotografia:
Montaggio: Fabienne Alvarez-Giro
Musiche: Vincent Courtois

Produttore: Didier Brunner, Philippe KauAmann,Vincent Tavier, Stéphan Roelants, Henri Magalon
Produttore esecutivo: Ivan Rouveure
Produzione: La Parti Productions, Les Armateurs, Maybe Movies, Mélusine Productions, Studio Canal International, StudioCanal
Distribuzione: Sacher Distribuzione

La recensione di Dr. Film. di Ernest Celestine
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Colonna sonora / Soundtrack di Ernest Celestine
Potrebbe essere disponibile sotto, nei dati aggiuntivi (clic qui).

Voci / Doppiatori italiani:
Claudio Bisio: Ernest
Alba Rohrwacher: Celestine
Dario Cantarelli: La Grigia

Voci / Doppiatori originali:
Lambert Wilson: Ernest
Pauline Brunner: Celestine
Anne-marie Loop: La Grigia

Informazioni e curiosità su Ernest Celestine

Tratto dagli album di Gabrielle Vincent Ernest et Cèlestine editi da Casterman.

Note dalla produzione:

Ernest & Celestine: storie di incontri
DI DIDIER BRUNNER, PRODUTTORE
All’origine, ci sono venti bei libricini illustrati di Gabrielle Vincent, storie semplici che incantavano mia figlia Pauline quando gliele leggevo la sera, accanto al suo letto. I protagonisti sono un orso e una topolina legati da un’improbabile amicizia.

Com’è possibile che due esseri così diversi, provenienti da due mondi che s’ignorano – un orsacchione maldestro e una deliziosa topolina – si siano incontrati? Che cosa spiega la loro indissolubile amicizia?
Ogni sera, dopo aver lasciato quell’universo tenero e modesto alla Chaplin, venivamo assaliti da queste domande… Ed è tentando di rispondervi che il progetto di adattare al cinema l’opera di Gabrielle Vincent ha finito per imporsi dolcemente.
Va detto che l’autrice si opponeva strenuamente alla trasposizione televisiva e, per estensione, cinematografica della sua opera. Era il 1998. Nel 2000 muore l’autrice. Nel 2008 vengo a sapere che Casterman, l’editore, propone i diritti di adattamento dei suoi libri per farne una serie. Lo contatto subito e gli suggerisco un adattamento cinematografico, poiché solo la cura artistica riservata ad un lungometraggio di animazione può rendere omaggio alla qualità dei disegni di Gabrielle Vincent.

Ma a chi affidare la sceneggiatura?
Il giorno in cui sono venuto a sapere che i diritti erano disponibili, avevo appena finito di leggere Abbaiare stanca di Daniel Pennac. Mi venne perciò l’intuizione di chiedergli di concepire e di scrivere la sceneggiatura. E a quel punto, lui mi ha rivelato quanto quell’intuizione fosse giusta… per i toccanti motivi che rievoca lui stesso nella sua intervista.

E a chi affidare la regia?
Il caso ha voluto, ancora una volta, che mi capitasse per le mani il Dvd di La Queue De La Souris, saggio di fine corso di un giovane regista, Benjamin Renner, realizzato nell’ambito della scuola la Poudrière. Ho preso contatto con lui, gli ho raccontato il progetto e gli ho spedito alcuni album di Ernest et Célestine.
Nei tre giorni successivi, Benjamin mi ha mandato due scenette animate, semplici, concise e magistrali! Il tratto di matita, le pose, la gestualità reinterpretavano con maestria e in modo rispettoso l’espressività vivace e tenera dei disegni di Gabrielle Vincent.
L’improbabile incontro di un romanziere navigato e di talento con un regista inesperto ma sottilmente intuitivo mi portava a sognare una bella avventura, punteggiata di vere sorprese.
Conscio della sua inesperienza e spaventato all’idea di dover gestire da solo quell’enorme nave che è lo studio di animazione, con quaranta tecnici e artisti a bordo, Benjamin voleva essere spalleggiato e sostenuto nel suo lavoro di regista.
Bisognava trovare dei co-registi che gli facessero da tutore.
Ho proposto a Vincent Patard e Stéphane Aubier (alias Pic Pic André) di sostenerlo e coadiuvarlo nella regia. Col loro tocco di umorismo e un colore tipicamente vallone, hanno portato un “Belgian touch” a questa trasposizione del piccolo mondo di poesia e emozione della loro compatriota Gabrielle Vincent.
Ho dato carta bianca a Benjamin per la scelta dei decoratori, dei coloristi, del caporeparto animazione, del compositore della colonna sonora originale, delle voci degli attori e del casting director.
Lui ha saputo intuitivamente riunire intorno a sé dei talenti straordinariamente giusti per il progetto, una squadra in simbiosi con la pazza ambizione del film: quella di celebrare il virtuosismo grafico del disegno di Gabrielle Vincent.
Volevo assolutamente che questo progetto, che avevo favoleggiato seduto sul letto di mia figlia Pauline, che avevo finanziato e commissionato come produttore, diventasse un film d’autore… e così è stato.
Il film che scoprirete è Crmato da Daniel Pennac e Benjamin Renner, uno scrittore maturo e un regista appena nato che è la rivelazione dell’avventura cinematografica di ERNEST & CELESTINE.


INTERVISTA CON BENJAMIN RENNER
REGISTA
Com’è iniziato per lei questo progetto? Che cosa l’ha particolarmente attratto nell’universo creato da Gabrielle Vincent?
Nel periodo in cui Didier Brunner sviluppava il progetto di Ernest & Celestine, il 2008, si è messo in contatto con la mia scuola di animazione, La Poudrière, spiegando che cercava delle persone per lavorare al suo film. La direttrice gli ha parlato di me, e quando ho incontrato Didier, mi ha presentato i libri di Gabrielle Vincent, che non conoscevo, e mi ha proposto in prima battuta di lavorare allo sviluppo grafico del progetto. Io ho accettato, perché corrispondeva esattamente a quello che avrei voluto fare uscendo dalla scuola: lavorare su un disegno molto puro, minimalista, ma giusto. Volevo trasmettere emozioni e sentimenti con qualche tratto e suggerire i movimenti attraverso un’animazione delicata.

A poco a poco è diventato il regista del film. Com’è avvenuto questo passaggio?
Mentre lavoravo allo sviluppo grafico, Daniel Pennac, lo scrittore e sceneggiatore del film, aveva già presentato una prima versione della sceneggiatura. Ho cominciato a lavorare allora anche ad uno storyboard “pilota” del film. Dopo, quando mi è stato oAerto di dirigere il film, sono stato abbastanza agitato, perché non avevo mai pensato di realizzare un lungometraggio appena uscito dalla scuola, senza aver fatto prima un’esperienza di cinema. Mi spaventavano le tante responsabilità che avrei avuto sulle mie spalle. Tanto avevo le idee chiare e mi sentivo sicuro sulla direzione artistica da dare al progetto, tanto invece la relazione con la sceneggiatura, la narrazione, la regia e la recitazione degli attori mi sembrava una responsabilità entusiasmante ma molto impressionante. Molta gente si è stupita della mia reticenza, ma io ero conscio del fatto che dirigere il film signiCcava essere responsabile del buon uso dei soldi, dirigere una squadra di 40 persone, e prendere decisioni che avrebbero avuto delle ripercussioni – buone o cattive – sulla produzione…

Cosa l’ha spinta a fare il “grande passo”?
Ho chiesto a Didier Brunner di trovare dei co-registi esperti su cui potermi appoggiare e ai quali poter chiedere consiglio quando necessario. Didier mi ha proposto la coppia Pic Pic e André, ovvero Vincent Patar e Stéphane Aubier, che avevano appena diretto il lungometraggio di animazione con figure in plastilina Panico Al Villaggio, tratto dall’omonima serie. Io ero un po’ perplesso, perché la loro tecnica particolare è diversa da quella del cartone animato, ma appena abbiamo iniziato a lavorare insieme c’è stato un feeling. E ci siamo potuti lanciare subito nell’adattamento e la messa in scena della sceneggiatura.

Per quale motivo, secondo lei, i libri della serie di Ernest et Célestine, che potrebbero sembrare riservati esclusivamente ai più piccoli, toccano invece così tanto gli adulti?
Quando leggo un libro, non ho uno sguardo da adulto o da bambino. Lo scopro per quello che è, senza avere un giudizio a priori. Ciò che colpisce negli album di Ernest et Célestine, è l’importanza della tenerezza tra i personaggi e quel rapporto con l’infanzia così ben rappresentato nei disegni e nelle situazioni.
Ernest ha un lato infantile anche se rappresenta l’adulto.
I personaggi sono in realtà due bambini. Tutto è stupendamente “sentito”. Non sono delle storie classiche, ma dei piccoli “pezzi di vita”. Quando ho incontrato il nipote di Gabrielle Vincent, mi ha raccontato che tutte le storie di Ernest et Célestine sono in realtà dei momenti che sua zia ha vissuto, o che avevano vissuto insieme. Nell’album Ernest et Célestine font une cabane, i due personaggi si costruiscono una capanna nel bosco. Ebbene, Gabrielle Vincent ne ha per l’appunto costruita una insieme ai suoi quattro nipotini. Aveva un rapporto molto forte con l’infanzia e quando si occupava di questi bambini, dedicava loro tutta la sua giornata. È una cosa che si sente nei suoi libri, questa impressione di trovarsi in una sorta di bozzolo accogliente. Un universo molto tenero nel quale ci si sente al sicuro, in cui si capisce che l’amicizia che unisce Ernest e Celestine non potrà mai essere distrutta da niente.

Lo stile grafico di Gabrielle Vincent – gli sfondi all’acquarello, la leggerezza del tratto che sfuma fino a scomparire – dev’essere stato di!cile da trasferire in un cartone animato in cui invece si è soliti usare i contorni e zone colorate molto definite. Eppure ci siete riusciti. Come avete fatto?
Dopo l’incontro con Didier Brunner, ho comprato gli album della serie e mi sono lanciato nella creazione di due piccole animazioni. Due settimane dopo, le ho mostrate a Didier, che ne è stato davvero soddisfatto. Avevo già previsto di fare pochi dettagli, di puntare all’essenziale, secondo la logica della “bozza animata” che ci avrebbe poi permesso di lavorare per il gusto del disegno, senza tornarci sopra troppe volte. Abbiamo seguito questo approccio di tratti aperti, schizzi sottolineati da linee forti che non tentavano di ricreare scrupolosamente il volume.
L’entusiasmo per questa visione da parte della produzione è stato così grande che mi sono detto che eravamo nella direzione giusta! Abbiamo voluto ritrovare le impressioni che Gabrielle Vincent provava disegnando.

Ha avuto paura di cambiare il design dei personaggi? La serie ha molti fan… e guardando i disegni originali, si ha l’impressione che Gabrielle Vincent usi il pennarello o il pennello asciutto per creare la tessitura dei peli della pelliccia di Ernest o della testa di Celestine. E quelli sono effetti impossibili da ricreare col cartone animato…
Abbiamo realizzato la prova pilota rispettando scrupolosamente il design originale di Celestine, perché era quello l’obiettivo.
In seguito, disegnando lo storyboard del film, i miei collaboratori mi hanno fatto notare che avevo a poco a poco cambiato il design di Celestine. Il suo muso si era progressivamente assottigliato senza che me ne rendessi conto. Mi ero impadronito del personaggio senza volerlo. Ripensandoci, mi sono detto che era una cosa assai simile a ciò che era successo con Pennac, che aveva scelto di non riprendere nessuna delle storie narrate negli album ma di creare un racconto totalmente originale pur rispettando lo spirito di Gabrielle Vincent. Il mondo in cui si svolge l’azione del film è un po’ cupo e cinico, all’opposto del “bozzolo” immaginato da Gabrielle Vincent, perché è così che si può scoprire come Ernest e Celestine riescano insieme a cambiare l’ordine delle cose creando un nuovo universo, che è poi quello dell’opera originale. È stata questa la chiave che ha permesso a Pennac di implicarsi nel progetto. E noi abbiamo scelto di seguire lo stesso approccio, rinunciando a riprodurre esattamente Ernest e Celestine così come sono nel libro. I nostri personaggi sono quelli del film scritto da Daniel Pennac, che finiranno finalmente per ritrovarsi nell’universo di Gabrielle Vincent. E il film si conclude seguendo questa logica, dal momento che i due personaggi “inventano” così Gabrielle Vincent e i disegni delle avventure di Ernest e Celestine. Ma occorreva uscire dal mimetismo per adattare al meglio la sua grafica al cinema e renderle omaggio.

Nei libri, le pose dei personaggi sono straordinariamente riuscite. Sono giuste e toccanti senza mai cadere nel cliché del “carino”. Vi siete molto ispirati agli atteggiamenti dei personaggi degli album quando affrontavate certe scene?
Sì. Molti atteggiamenti sono direttamente tratti dai libri. E abbiamo anche rispettato la messa in immagine molto teatrale degli album. Non si vedono quasi mai inquadrature dall’alto o dal basso, né primi piani, né effetti drammatici. Gabrielle Vincent si focalizzava sui personaggi e i loro atteggiamenti. Il dinamismo della messa in scena del film è dato dalle azioni dei personaggi, dalla loro animazione e dalla composizione della scenografia. Molte scene rendono omaggio agli album.

Ci ha appena spiegato il suo approccio alla regia del film, ma aveva in mente qualche riferimento preciso? Alcuni aspetti – la grande figura protettiva di Ernest accanto alla piccola Celestine, la convivenza di due mondi – fanno pensare a Il mio vicino Totoro di Miyazaki…
Seguo molto i film di animazione giapponesi e il cinema giapponese nel suo insieme. Tutti i film di Miyazaki sono stati per me un punto di riferimento: Totoro, Kiki consegne a domicilio la cui eroina è, come Celestine, un po’ sperduta in mezzo alla città… Sono stato influenzato anche dall’Estate di Kikujiro di Takeshi Kitano, che mi ha dato lo spunto su come affrontare i rapporti tra Ernest e Celestine. Il personaggio interpretato da Kitano nel film è un adulto che è rimasto un po’ puerile e che si ritrova in compagnia di un bambino di cui non sa come occuparsi…
Aggiungo che sono stato anche influenzato dai film di animazione della mia infanzia, i cortometraggi della Disney o anche i film prodotti da René Goscinny, come Asterix e le dodici fatiche e La ballata dei Dalton. Sono film che mi avevano colpito per la loro libertà di narrazione.

Come avete lavorato insieme a Vincent Patar e Stéphane Aubier, i co-registi del film? Vi siete suddivisi i compiti?
Sì. Eravamo d’accordo che avremmo lavorato insieme sullo storyboard e sul montaggio a priori e che avrei curato la creazione grafica del film. Avevamo anche deciso che Vincent e Stéphane sarebbero intervenuti pure alla fine, sugli effetti sonori, il missaggio del suono, la musica. Abbiamo preparato molto il montaggio a priori, trovandoci perfettamente d’accordo sulle intenzioni e l’umorismo che volevamo infondere al film.
A questo punto, non si trattava ancora di messa in scena: riscrivevamo il film con i disegni per individuare subito le scene troppo lunghe, troppo corte ecc…

Ha mai rilavorato su alcuni punti della sceneggiatura insieme a Daniel Pennac?
Sì. Abbiamo lavorato più volte con Daniel sui punti che ci creavano un po’ di problemi, per chiedergli di suggerirci delle soluzioni narrative. A volte abbiamo dovuto apportare noi stessi dei cambiamenti. Ci siamo resi conto che, in alcuni casi, la trasposizione disegnata non aveva lo stesso ritmo di quello che gli aveva impresso Daniel leggendolo – perché ci aveva raccontato lui stesso la sceneggiatura, a casa sua, come un narratore. Sono stati momenti straordinari… Daniel sa bene che le modifiche sono inevitabili quando si fa un adattamento. E io gli sono infinitamente grato di aver aDdato la sua sceneggiatura a una persona appena uscita da una scuola. Si è fidato e mi ha sempre sostenuto nei momenti di dubbio.

Quali sono state le scene più difficili da realizzare?
Senza esitazione, quella dell’incontro fra Ernest e Celestine. Oltre ad essere una scena chiave del film, avevamo un problema molto semplice: se Celestine avesse mantenuto le dimensioni che aveva nel libro, sarebbe stata troppo grossa per poter essere mangiata da Ernest in un boccone (ride) Pensandoci bene, non siamo riusciti a trovare una dimensione che funzionasse per tutto il film. Abbiamo perciò deciso di farla crescere durante il racconto: quando è ancora una topolina è piccola e raggiunge le dimensioni di una bambina man mano che assume per Ernest il ruolo di figlia.

Può parlarci della sua collaborazione con Vincent Courtois, che ha composto la musica originale del film?
Vincent è un compositore di talento e un gran violoncellista, famoso per le sue sperimentazioni musicali. Crea dei suoni molto personali. Mi sembrava che corrispondesse meravigliosamente a Ernest, che è anch’esso musicista e suona il violino e altri strumenti! Cercavo una personalità musicale forte, che non si annullasse davanti alle intenzioni del regista.

Parliamo delle colonne portanti del suo team artistico…
Oltre a Patrick Imbert, il capo reparto animazione, c’è Sei Riondet, l’artista che ha fatto tutto l’adattamento e la creazione grafica dei personaggi.
Julien Bisaro mi ha aiutato moltissimo per la messa in scena, così come Marisa Musy e Zyk, una coppia di scenograC che si fanno chiamare Zazyk. Sono loro che hanno curato tutta la scenografia. Marisa è la seconda persona che ho incontrato all’inizio del mio lavoro sul film. Mi presento come regista e direttore artistico, ma ero circondato da una squadra di artisti che ha saputo concretizzare e arricchire le mie intenzioni. Marisa è stata fondamentale nella decisione di usare l’acquarello per gli sfondi, perché mi ha presentato una scenografia trattata in modo perfetto, in cui si sentiva chiaramente che le cose non erano state create al computer.

Che sguardo ha oggi sul suo film?
Non ho un distacco sufficiente, perché negli ultimi quattro anni ho dedicato tutto il mio tempo a questo film. Mi succede però qualche volta di riuscire a distanziarmene e a guardare le immagini come se non le avessi realizzate io e a quel punto, mi sembra che le intenzioni iniziali siano state mantenute e che il film riesca a trasportare lo spettatore nella sensibilità dell’infanzia.
Una delle cose che mi rende più felice è che il film riesce a rendere omaggio come volevo a Gabrielle Vincent: mettendo in avanti il disegno e il piacere di disegnare.


INTERVISTA CON DANIEL PENNAC
SCENEGGIATORE
Ci sono pochi scrittori famosi come lei che si dedicano alla letteratura per l’infanzia. Ci può parlare del piacere di scrivere per i giovani lettori?

Ci sono diversi aspetti. Il primo, è quello di raccontare una storia in cui la narrazione è improntata sulla peripezia. Dal punto di vista del ritmo, è una cosa piacevole. Il secondo, è che si tratta di una letteratura abbastanza codificata: potremmo dire che un buon libro per bambini è quello che il genitore legge prima del figlio traendone soddisfazione. Bisogna cercare di riuscire in quest’impresa, ed è una cosa affascinante. Il terzo, risiede nella scrittura stessa, laddove stilisticamente occorrerà evitare le frasi complesse scegliendo vocaboli di una precisione più immediata. È un piacere puramente linguistico, di suoni, molto interessante. Si scrive perciò altrettanto “seriamente” un libro per bambini che un romanzo per adulti.


Capita che dei libri destinati ai bambini trattino certi argomenti in modo così delicato e vero da riuscire a toccare anche gli adulti. È stato questo a darle voglia di scrivere la sceneggiatura di Ernest & Celestine?

È successo qualcosa di più toccante con Ernest & Celestine. Negli anni ’80, ho trovato un libricino che si chiamava Un giorno, un cane illustrato dai disegni al carboncino di Gabrielle Vincent. Io avevo appena scritto Abbaiare stanca, che raccontava a sua volta le avventure di un cane randagio.
Rinchiuso in un canile, veniva poi recuperato da una bambina così insopportabile che doveva ammaestrarla lui. E siccome mi sono innamorato di Un giorno, un cane, ho spedito una copia di Abbaiare stanca a Gabrielle Vincent tramite il suo editore. Mi ha risposto e abbiamo istaurato un’amicizia epistolare che è durata una decina d’anni. Io le mandavo frammenti di manoscritti e lei mi spediva dei disegni, brani tratti da Ernest et Célestine. Facevamo tutto questo senza mai vederci o telefonarci.
E poi, è morta… E diversi anni dopo la sua scomparsa, Didier Brunner, che non conoscevo, mi chiama, mi spiega che è stato, fra le altre cose, il produttore di Appuntamento a Belleville e mi dice “Senta, le farò una proposta che potrà sembrarle strana. Sicuramente lei non conosce Gabrielle Vincent, ma ha creato una serie di album intitolata Ernest et Célestine che sono delle storie molto dolci, molto angeliche e io sogno di farne un lungometraggio con, in contrapposizione, lo sfondo di un universo più nero, che sarebbe il suo”. A quel punto, gli ho spiegato che conoscevo bene i personaggi e che sarebbe stato in effetti divertente farli uscire da un ambiente cupo per portarli verso il clima idilliaco dei disegni di Gabrielle Vincent. Come una sorta di accesso al paradiso della relazione umana. E così, ho scritto la sceneggiatura con quell’impostazione. Ernest e Celestine provengono entrambi da un universo cupo, difficile, e si costruiscono da soli un’oasi di pace, dalla quale però la realtà dei rispettivi mondi che li perseguita riuscirà a strapparli nuovamente. Alla fine delle loro peripezie, ognuna delle comunità di provenienza ammetterà che è possibile vivere insieme.


Come ha immaginato questa storia?

Quando non sono a Parigi, vivo nel Vercors, in una casa con le pareti ornate da diversi acquarelli di Gabrielle Vincent. Ho lavorato lì, tentando di immaginare due universi antitetici al suo, dei luoghi da cui si sognerebbe di evadere e che fossero l’opposto l’uno dell’altro. C’è quindi un mondo di sotto, quello dei topi, e un mondo di sopra, quello degli orsi.
Non si frequentano. Ognuno costruisce un suo tabù sociale sull’altro. Questa diffidenza esiste in filigrana anche negli album. In La naissance de Célestine, si vede che Ernest contravviene alla morale dominante frequentando un topo.
Ho perciò accentuato gli antagonismi creando due universi abbastanza duri. In quello del topo, l’ossessione è che i bambini diventino dentisti, perché gli incisivi dei topi non sono solo il mezzo di sussistenza primario, ma anche lo strumento di lavoro a cui devono la propria civiltà. Celestine si ritrova impelagata in questa situazione in cui la costringono a diventare dentista, mentre lei vorrebbe disegnare e dipingere. In realtà, la piccola Celestine è Gabrielle Vincent. Benjamin Renner, che ha diretto il film, ne ha fatto una mancina, come lo era appunto Gabrielle.
Interrogando la famiglia dopo la sua morte, ho scoperto che Gabrielle era una persona minuta con una faccia da topolina e un forte carattere. Quando disegnava Celestine, faceva praticamente un autoritratto.


E poi ha sviluppato il mondo degli orsi…

Sì, benché gli sia proibito, il mondo degli orsi è indispensabile ai topi, poiché è lì che vanno a fare la spesa. Riportano giù cibo, bottoncini, filo, materie prime ecc. Sono costretti ad andare “nel mondo di sopra”, ma a condizione di non frequentare gli orsi. Dal canto loro, gli orsi riCutano la presenza dei topi nelle loro case, “se ne accetti uno, ne entrano cento!” e li cacciano. Insomma, l’antagonismo è reale. Ernest è un cantante, un musicista, un poeta la cui famiglia voleva che facesse il giudice.


Nel film è stato aggiunto un tocco un po’ fantastico rispetto all’universo degli album, con il mondo di sotto dove vivono i topi, i denti degli orsetti che vengono rubati, come nella storia del “topolino dei denti da latte”… Mentre negli album, si vedono soprattutto i paesaggi urbani dell’infanzia di Gabrielle Vincent.

Gabrielle era belga. La sua immaginazione era legata alla dimensione del villaggio, alimentata da vecchi ricordi. Lo si vede bene nei suoi disegni di arredamento, negli interni, con le sedie di legno, i comò un po’ sbilenchi. Casa sua peraltro era così. L’ho scoperto quando ci sono andato. Viveva col minimo indispensabile, ma in un ambiente molto grazioso, con le tendine alle finestre… Quell’universo era facile da immaginare, perché era quello nostro di 50 anni fa. Rimaneva però da immaginare l’universo del mondo di sotto. E quello, lo si deve essenzialmente al lavoro della meravigliosa giovane donna che ha concepito la scenografia del mondo di sotto: Marisa Musy. Avevo suggerito che si ispirasse ai buchi giganteschi del sottosuolo parigino. Una groviera dalle proporzioni colossali, perché ci sono delle cave abbandonate con volte di 20 o 30 metri di altezza! È rimasta solo una crosticina su cui sono stati costruiti dei palazzi che sprofondano. Per poterci vivere, occorre scavare e introdurre lunghissimi pali di cemento aDnché le nuove case riposino su qualcosa di stabile. Ho quindi immaginato il mondo dei topi partendo da quel sottosuolo parigino e integrando anche diversi strati architettonici: rovine romane, vestigia medievali, ecc. Marisa ha seguito poi la sua direzione e siccome ha un bell’immaginario, ha fatto qualcosa di molto bello.


Lei sembra essersi ispirato a personaggi reali per immaginare le reazioni e i dialoghi di Ernest e Celestine. Prima evocava i ricordi d’infanzia di Gabrielle Vincent a proposito di Celestine, ma aveva un’altra persona in mente quando immaginava le reazioni di Ernest?

Quando leggevo quelle storie a mia figlia – che ormai è una giovane donna – siccome adoro le pantofole di lana cotta e le vestaglie spesse, assumevo un aspetto un po’ “ernestiano!!
Mia figlia provava perciò un doppio piacere legato alla lettura: seguiva le avventure di Ernest avendo contemporaneamente davanti a sé una specie di orsacchiotto. Ascoltando le avventure di un orso formidabile, lei identiCcava suo padre con quel formidabile orso. I ricordi di Didier Brunner con sua figlia sono gli stessi, poiché lui era il suo Ernest.


Lei ha anche introdotto un pizzico di brivido e di crudeltà nel primo incontro tra Ernest e Celestine: nel film, lui ha voglia di mangiarsela, cosa che nel libro non c’è… Perché?

Perché ci troviamo in un universo più crudele, che precede il loro vero incontro. Questo incontro decisivo si svolge dopo, quando Celestine fa un incubo nella cantina di Ernest. Ernest la consola, e quando Celestine, in lacrime, gli racconta che è stata cacciata da casa sua e che la volevano costringere a diventare dentista, Ernest le dice: “I miei invece volevano che facessi il giudice. Ma chi se ne importa, sei pittrice, sono poeta!” E la autorizza a vivere non più in cantina, ma a casa sua ed è allora che inizia il vero incontro: Celestine dipinge, Ernest suona, e si giunge così nell’universo di Gabrielle Vincent. Tutto ciò che precede, è un universo fatto di un terribile antagonismo, in cui Celestine crede all’esistenza dell’orso cattivo e Ernest, che è onnivoro, quella mattina ha forse abbastanza fame per mangiarsi un topolino. Ma la simpatia che nasce fra gli eroi fa apparire un terzo universo, quello di Gabrielle Vincent.


Ernest & Celestine è la sua prima sceneggiatura per un lungometraggio di animazione. Cosa ha imparato di nuovo sul suo mestiere di narratore con questo lavoro?

È soprattutto nella relazione col cinema di animazione che ho imparato delle cose. Il lavoro di sceneggiatore, è una specie di alchimia in cui l’autore, soprattutto se è un romanziere, deve trovare le immagini in grado di sostituire interi paragrafi di un romanzo. E non volevo nemmeno scrivere sottigliezze impossibili da disegnare. Per giungere a questo risultato, ho invitato Benjamin, Pic Pic e André, i co-registi belgi, e Marisa, a casa mia per leggergli la sceneggiatura.
Erano seduti intorno al tavolo della sala da pranzo mentre io raccontavo loro la storia. Vedevo i belgi che prendevano continuamente appunti guardandomi a malapena. E quando sono andato a guardare cosa avevano fatto, ho scoperto che quegli appunti erano disegni! L’ho trovato meraviglioso.


Quali sono le soddisfazioni maggiori che ha tratto dalla sua partecipazione a questo film?

Il lavoro di squadra. Io sono abituato a lavorare da solo. Quando si vede il piccolo esercito che occorre mettere su per fare un film, è un grande piacere incontrarli e lavorare con loro. Didier Brunner è un produttore molto discreto. Spesso, i produttori rompono le scatole con i loro appunti, i loro suggerimenti, le loro certezze su ciò che piacerà o non piacerà al pubblico. Didier questo non lo fa mai. È straordinario! E poi, certo, l’eroe della festa è Benjamin Renner, che aveva 24 anni quando ha iniziato a lavorare su questo progetto – ne ha 28 adesso – e che era un ragazzino terrorizzato dal fatto di avere la responsabilità del film. È bello veder sbocciare un talento come il suo. Mi ha incantato!
INTERVISTA RILASCIATA A PASCAL PINTEAu

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